Nuovi Orizzonti E Possibili Futuri Per Bones For Life

raffaele rambaldi and ruthy alon

Nel maggio 2014 in Israele Raffaele Rambaldi è stato certificato - direttamente da Ruthy Alon - Senior Trainer di Movement Intelligence.



Questo articolo è stato scritto da Raffaele Rambaldi in occasione della partecipazione al Movement Intelligence Senior Trainers Training con Ruthy Alon in Israele nel maggio 2014. 

La traduzione inglese è pubblicata anche sul sito di Ruthy Alon www.movementintelligence.com.



Articolo di Raffaele Rambaldi

Solitamente, quando mi viene chiesto di presentare al pubblico Bones For Life, lo definisco come un programma per ‘stimolare il rafforzamento delle ossa e favorire la riorganizzazione e il riallineamento posturale attraverso il movimento naturale’.

Questa prima e semplice definizione ha il vantaggio di evocare da subito due temi, quello della postura e quello del rafforzamento delle ossa, che non solo sono facilmente comprensibili e riconoscibili da chiunque, ma che oggigiorno sono particolarmente sentiti.

Ovviamente c’è molto di più. Mi rendo ben conto che nelle mie presentazioni, adotto una voluta semplificazione esplicativa, perché sono ben conscio delle implicazioni e delle potenti ripercussioni del programma Bones for Life sul miglioramento della qualità della vita non solo al livello fisico ma anche ai livelli psicologici, relazionali, emozionali ed energetici.

Infatti, sebbene storicamente Bones For Life sia stato inizialmente sviluppato per gestire, prevenire ed affrontare in modo particolare le sempre più sentite e diffuse problematiche legate all’indebolimento delle ossa, ci stiamo sempre più rendendo conto di quanto il suo potenziale e le suo applicazioni siano ampie e potenti, sebbene in gran parte ancora da sviluppare. 

Mi piace pensare a Bones For Life come ad un rivoluzionario microchip, qualcosa di piccolo e potente che può migliorare tutto ciò cui viene applicato, che può velocizzare un computer, far volare astronavi e al tempo stesso permetterci di avere frigoriferi e automobili migliori. Credo che stiamo solo sfiorando la potenzialità di questo sistema.

Ma andiamo con ordine.

E’ da tempo che si è compreso quanta parte della responsabilità di molti dei problemi e disagi più socialmente diffusi, incluso l’indebolimento delle ossa possa essere riconducibile al nostro stile di vita ‘occidentale civilizzato’. E’ davanti ai nostri occhi quanto ogni innovazione tecnologica tenda a fiaccare la nostra efficienza motoria ed ogni giorno che passa diventiamo più pigri, riducendo progressivamente le nostre capacità motorie. 

Le conseguenze di un progressivo e apparentemente irreversibile adattamento a uno stile di vita innaturale in cui la mente viene usata troppo (e male) e il corpo troppo poco (e male) possono essere devastanti per le nostre ossa e per la nostra salute in generale. 

Per invertire la tendenza diventa quindi essenziale sapere come trovare o creare nuove opportunità di movimento nella vita quotidiana in grado di consentirci di poter mantenere la ‘macchina umana’ efficiente ed evitare che vada in regressione da ‘non uso’ o in rovina da ‘cattivo uso’.

L’idea che il movimento fisico faccia bene alle ossa non è una novità. Ma, per farlo davvero, il movimento deve avere alcune particolari ed indispensabili caratteristiche e qualità legate alla pressione ritmica e al dosaggio della forza, in grado di poter evocare ed entrare in risonanza con le modalità primarie di funzionamento del corpo nel campo gravitazionale, come camminare, correre, portare pesi e saltare, cioè con tutte quelle attività che sollecitano il corpo naturalmente a rinforzare le ossa. 

Non è sufficiente quindi ‘muoversi’ e ‘fare esercizio’ indiscriminatamente. Il movimento deve essere in grado di stimolare l’organismo dandogli un motivo ‘funzionale’ in grado di stimolare ed attivare i processi naturali del rafforzamento osseo. Cosa che non succede, ad esempio, agli astronauti che operano nello spazio, un ambiente che permette la massima libertà di movimento al corpo ma che non richiede un confronto stimolante con la gravità, non generando pertanto nell’organismo la necessità funzionale di rinforzare le proprie ossa. La conseguenza inevitabile di ciò, e che ha causato parecchi problemi alla Nasa, è che gli astronauti tornano sulla terra particolarmente indeboliti non solo nei muscoli ma anche nelle ossa. Il principio ‘Usalo o perdilo’ conferma la sua validità. 

In natura attività come camminare, correre, saltare e portare pesi, e in generale tutto ciò che entra in risonanza con la pressione ritmica ed elastica della camminata dinamica vanno a stimolare l’organismo a rinforzare le proprie ossa.

Purtroppo la mancanza di movimento determina un indebolimento osseo che a sua volta induce ad ulteriori riduzioni di movimento. E’ un circolo vizioso non facile da interrompere. Anche perché a questo si aggiungono altri elementi che devono essere gestiti per poter attivare la risposta rigenerante dell’organismo: per primo il problema del dosaggio della forza e della pressione ritmica (troppo poca non stimola, troppa può danneggiare) e poi quello relativo alla creazione di ciò che chiamiamo ‘Effetto Domino’, quell’allineamento dinamico della struttura, in cui la pressione può scorrere tra una polarità e l’altra, senza restare intrappolata in nessuna articolazione creando logoramento, compressioni o deviazioni.

La genialità di Ruthy Alon le ha permesso di isolare il codice del movimento organico (pressione ritmica e dosaggio della forza) una sorta di informazione ‘omeopatica’, che contiene in sé l’essenza di ciò che della camminata dinamica, della corsa e del portare pesi stimola l’organismo a riorganizzarsi e a rinforzare e rigenerare le proprie ossa, e a creare un contesto sicuro e protetto in grado di fornire ‘condizioni di serra’ per un apprendimento adatto al ritmo ed alla situazione di ogni persona.

Tuttavia, sebbene Bones For Life sia nato da problematiche legate alle ossa, sarebbe restrittivo e limitante confinarlo a questo ambito.
Col passare degli anni ho potuto constatare le enormi implicazioni e le potenti ripercussioni di questo lavoro non solo ad un livello fisico ma anche ai livelli psicologici, relazionali, emozionali ed energetici di vita in chi lo pratica.
Il cambiamento spontaneo della postura, la maggiore vitalità ed energia, il senso di ‘poter fare’, il miglioramento delle prestazioni in ogni ambito, l’aumento della fiducia in se’ stessi e gli inevitabili riflessi di tutto ciò nella propria vita sociale e relazionale sono conferme impagabili del valore e delle possibilità di questo lavoro.

Ma c’è ancora di più.

L’idea cominciò a macinare nella mia testa già durante il mio primo corso di Bones For Life con Ruthy Alon a Firenze nel 1999. In quel corso, fra gli altri, era presente il compianto Jack Heggie, amico ed Assistant Trainer nei quattro anni della mia formazione come Feldenkrais Practictioner. Alla fine del workshop Ruthy chiese ad ognuno di noi un parere sul lavoro svolto. Jack si avvicinò al microfono e disse alcune lapidarie parole che per anni hanno risuonato nella mia testa:


“Bones For Life è il secondo capitolo del Metodo Feldenkrais”.


Wow! 

Cosa intendeva dire Jack? Voleva forse dire che Bones For Life era un superamento del Feldenkrais? Certamente no! Troppo banale, oltre che sbagliato. E Jack era una persona di poche parole, ma sempre molto attento e preciso in quello che diceva. Non sprecava fiato o diceva parole a caso. E allora cosa intendeva dire?

jack heggie

Jack Heggie alla formazione del Metodo Feldenkrais Firenze 2 (anno 1997)

Queste parole hanno continuato negli anni a muoversi nella mia testa, come un enigma da risolvere. E ho continuato a seguire questa idea e le sue implicazioni man mano che avanzavo nella mia pratica.

Che vi sia un forte legame fra Bones For Life e il Metodo Feldenkrais è ovvio ed innegabile. Ruthy Alon è stata infatti una delle prime e più raffinate allieve di Moshè Feldenkrais ed ha incorporato pienamente e dichiaratamente in Bones For Life i principi dell’apprendimento spontaneo dell’organismo da lui individuati per applicarli in un contesto diverso.

Per comprendere il senso della frase di Jack Heggie dovevo partire da qui, dalla relazione fra il ‘pensiero guida’ di Feldenkrais e la sua relazione col programma Bones For Life.

Tuttavia bisogna prima di tutto intendersi sulle premesse, ovvero su cosa intendiamo per Metodo Feldenkrais, un lavoro assolutamente elusivo nella sua raffinatezza, tanto che talvolta risulta poco facile definirlo.
Una cosa è certa: fare Feldenkrais non significa ripetere meccanicamente il ‘già fatto’ dal fondatore, correndo il rischio di fermarsi a diventarne degli imitatori, o peggio ancora, degli imitatori degli imitatori. Il Metodo, inoltre, non è da intendersi come terapia né tantomeno come una ginnastica dolce, posturale o correttiva. Qualcuno lo inquadra come un lavoro di ‘educazione somatica’ o di ‘apprendimento organico’. Io mi sento di dire che il Feldenkrais è soprattutto un modo di pensare da cui scaturiscono strategie ed applicazioni.
Per avvicinarci a capire quindi il Metodo Feldenkrais, bisogna il più possibile cercare di capire il pensiero del suo creatore, ovvero intercettare il pensiero di un genio. Risalire alla profondità della sua visione e riconoscere il suo progetto all’interno di essa.

Quando lessi il suo libro del 1952 Higher Judo, rimasi folgorato da queste parole:

‘La finalità primaria del Judo è quella di insegnare, favorire e promuovere la realizzazione della maturità adulta, che è uno stato ideale, raramente raggiunto, in cui una persona è in grado di confrontarsi con il compito e la necessità del momento presente senza essere ostacolato da preesistenti abitudini di pensiero o atteggiamenti.’ (1)

In altri termini, Feldenkrais considerava la capacità di gestire e confrontarsi con le imprevedibili sfide di un mondo in continuo cambiamento, proprie del Judo originario di Jigoro Kano, come il segno del raggiungimento della maturità adulta, nella direzione dell’evoluzione e del più pieno sviluppo dell’essere umano.

Probabilmente egli avrebbe orientato le sue ricerche sul movimento direttamente e pienamente in questa direzione di progetto evolutivo se non avesse avuto il suo grave incidente invalidante ad un ginocchio.
Come molti sanno, infatti, negli anni precedenti alla seconda guerra mondiale egli ebbe un grave infortunio ad un ginocchio durante una partita di calcio. La chirurgia ortopedica dell’epoca non era in grado di offrire ragionevoli possibilità e speranze di recupero a Moshe il quale decise di non operarsi.

Unendo tutte le sue conoscenze, con grande determinazione, mente aperta e spirito di iniziativa, cominciò a cercare e sviluppare modi alternativi per far si che il proprio corpo potesse trovare una migliore ‘auto-organizzazione’ tale da consentirgli di vivere una vita ‘normale’ nonostante la lesione al ginocchio. Ebbe successo, tornò a camminare ed a fare nuovamente qualche dimostrazione di Judo.
Ma tutto questo cambiò qualcosa in lui. Per risolvere il suo problema era andato a scoprire le modalità più antiche e potenti con cui un organismo umano impara ed impara ad imparare. L’Apprendimento Organico.

Capì che un lavoro di ‘Educazione Somatica’ basato su queste intuizioni apriva prospettive enormi. Avrebbe permesso con facilità e naturalezza di aggiornare le abitudini ‘motorie e non’, rendere naturalmente obsoleti antichi schemi e patterns alla base di dolori e problemi nonché aprire le porte ad un risveglio del potenziale e delle potenzialità inespresse in ogni uomo.
La sua ‘visione evolutiva’, quel ‘raggiungere la piena maturità adulta’, quello ‘stato ideale raramente raggiunto in cui una persona è in grado di confrontarsi con il compito presente senza essere intralciato da preesistenti e antiche abitudini di pensiero o atteggiamenti’ era ancora la direzione verso cui incamminarsi.

Ma, come diceva Goethe, ‘chi sbaglia col primo bottone non si corregge con l’abbottonatura’. E i nuovi strumenti permettevano di ‘ripartire col primo bottone’ e non costruire su schemi motori ed atteggiamenti antichi, ormai inadeguati se non limitanti, ed in ogni caso poco produttivi.

Ad esempio, per insegnare una forma di Tai Chi Chuan si parte quasi sempre con un lavoro nella posizione in piedi (chiamata anche posizione dell’uomo ‘libero’). In realtà, nell’individuo adulto occidentale civilizzato medio, questa è tutt’altro che una posizione neutra o ‘libera’. Anzi, la persona media ha già fissati e consolidati nella sua neurologia e fisiologia un gran numero di schemi e patterns rigidi e limitanti che si rivelano di ostacolo o causano rallentamento nell’apprendimento della disciplina che dovrà al tempo stesso provvedere anche a ripulire il corpo da preesistenti fonti di interferenza. E’ un po’ come voler scrivere su un foglio che è stato in precedenza accartocciato e conserva pieghe ed increspature della sua precedente condizione.

In realtà la nostra posizione eretta, così come il nostro abituale modo di muoverci, costituisce il risultato dell’adattamento all’ambiente del nostro organismo a valle di una serie di tappe ed acquisizioni progressive, attraverso le fasi delicate ed esplorative di scoperta e confronto col campo gravitazionale: stare sulla schiena, sulla pancia, strisciare, gattonare e alla fine venire in piedi. Per queste ragioni il nostro stare in piedi ed il nostro modo di camminare e muoverci sono un riflesso della nostra storia motoria evolutiva.

Se assumiamo come progetto finale di Moshe Feldenkrais il raggiungimento di quella ‘maturità adulta’ di cui parla in Higher Judo, alla luce di quanto detto potremo schematizzarlo, facendo una prima approssimazione, in quattro livelli progressivi ed evolutivi di confronto con il campo gravitazionale.

Per entrare davvero nel Metodo Feldenkrais è essenziale cercare di sintonizzarsi con il modo di pensare del suo fondatore, con la sua genialità nel saper prendere le idee astratte e portarle a livello di azioni concrete e di esperienze per le persone, ripercorrendo i passi ed i processi mentali da lui seguiti nell'evoluzione del suo pensiero.

4 livelli raffaele rambaldi
i quattro livelli



Nella figura sono rappresentati e schematizzati i quattro livelli in maniera semplice e facilmente differenziabili l’uno dall’altro. Andrò ora a inquadrarli meglio uno ad uno. Userò il più possibile espressioni figurate semplici ma intuitivamente comprensibili da tutti.


Livello 1 – Funzione antigravitaria ‘spenta’


Questo livello rappresenta il lavoro che, partendo dallo stare sdraiati sul pavimento permette di non andare a contrastare direttamente la gravità, cosa che invece accade nella posizione eretta. Un grande esempio di movimenti e lezioni di questo tipo è raccolto nel video ‘Movement Nature Meant’ di Ruthy Alon. Lavorare in questo modo consente di raffinare enormemente la propria sensibilità ed aggiornare ed evolvere i propri schemi motori. Il non contrastare direttamente il campo gravitazionale permette ai muscoli solitamente impegnati a gestire la propria verticalità di rilassarsi. Inoltre il muoversi in un contesto che rende impossibile la possibilità di cadere permette al sistema nervoso di liberare vaste aree neurologiche solitamente impegnate a controllare l’equilibrio. Si riduce lo sforzo ed aumenta la sensibilità. Ci si trova in un vero e proprio laboratorio per affinare la coordinazione e per deprogrammare vecchie abitudini. E’ lo spazio del ‘Si’ per il bambino, la dimensione dell’arrendersi alla forza di gravità con la possibilità di sfruttare il pavimento per sviluppare e raffinare i propri schemi base. Questo stadio evolve naturalmente nel secondo livello.


Livello 2 – Funzione antigravitaria ‘accesa’


Nel secondo livello cominciamo ad organizzarci per venire in piedi, contrastando la forza di gravità e affermandoci nella verticalità. E’ il momento del ‘NO!’, dello spingere e del venire su. Ed è il livello dell’allineamento strutturale e dello stare in piedi in una condizione di stabilità dinamica che ci consente di portare il nostro stesso peso in una maniera sana e funzionale che permette non solo di non danneggiare la nostra struttura scheletrica ma anzi di stimolarla e rinforzarla, conservandola sana ed efficiente nel tempo. 

La forza deve scorrere liberamente fra le polarità della struttura senza restare ‘intrappolata’ in nessuna articolazione. E’ quello che chiamiamo ‘Effetto Domino’.

E’ qui che si inserisce pienamente Bones For Life, un vero e proprio laboratorio dinamico per imparare a stimolare in maniera naturale ed in condizioni sicure la forza della nostra struttura scheletrica. 

Quella forza che, in una spontanea condizione di ‘allineamento dinamico’ consente a donne esili, in africa e nel sud-est asiatico, di portare elegantemente, senza sforzo e per lungo tempo, grossi pesi sulla testa. Riconosciamo questa forza della struttura nell’eleganza dei Masai in Kenia e nelle incredibili prove di forza di anziani maestri di arti marziali. Il rafforzamento delle ossa in Bones For Life è un effetto collaterale del lavoro, che si ottiene grazie alle strategie basate sul naturale principio di ‘motivazione funzionale organica’.

Bones For Life, in maniera sistematica ed efficace permette di estendere i principi dell’apprendimento organico identificati da Moshe Feldenkrais dal laboratorio della coordinazione ad un laboratorio dinamico, una serra sicura per studiare la forza e confrontarci con la gravità.
Una volta in piedi, con allineamento, radicamento e ‘connessione interna’ il lavoro evolve nel terzo livello.


Livello 3 – Funzione antigravitaria ‘accesa’ + movimenti nello spazio

Questo livello rappresenta la naturale evoluzione dei primi due livelli, che sono in esso contenuti. Se col primo livello abbiamo esplorato il movimento in un contesto di ‘non opposizione alla forza di gravità’ e col secondo siamo venuti in piedi, nel terzo cominciamo a muoverci nello spazio e ad esplorarlo. Ovviamente bisognerà conservare le acquisizioni di allineamento dinamico, equilibrio e fluidità di movimento propri dei primi livelli. E, sia ‘Bones For Life’ che ‘Walk For Life’ di Ruthy Alon si rivelano particolarmente preziosi per rendere facile e naturale questo passaggio.

Tuttavia c’è qualcosa in più: il concetto di percezione e di orientamento nello spazio intorno a noi. Percepire sé stessi e al tempo stesso l’ambiente intorno a sé costituisce la base per la sopravvivenza di ogni specie. Nella nostra società questa preziosa abilità è estremamente ridotta e poco coltivata. E’ un lavoro estremamente stimolante ed utile e in gran parte ancora da sviluppare.
Tutto questo ci porta al quarto livello.


Livello 4 – Funzione antigravitaria ‘accesa’ + movimenti nello spazio + gestione dell’imprevisto

Ricapitoliamo: col primo livello abbiamo percepito noi stessi e sviluppato le nostre abilità di base, in un contesto di ‘non confronto’ con la forza di gravità. Nel secondo livello siamo venuti in piedi e abbiamo imparato ad allinearci dinamicamente nel campo gravitazionale. Nel terzo livello cominciamo a muoverci nello spazio (camminare, saltare ecc…). Fino a questo punto abbiamo avuto un solo interlocutore, il campo gravitazionale.
Il quarto livello è ancora più avanzato: ha a che fare con il ‘gestire l’imprevedibilità’. Il mondo non è più prevedibile. Mentre attraversiamo la strada arriva una moto in corsa? La scansiamo istintivamente. Scivoliamo su una foglia bagnata non vista? Recuperiamo d’istinto l’equilibrio o cadiamo in maniera fluida e sicura. Non c’è il tempo di pensare.

E’ proprio quello che Feldenkrais chiamava ‘Maturità Adulta’: la capacità di confrontarci con le molte, imprevedibili sfide che l’ambiente ci propone senza restare intrappolati nei nostri preesistenti schemi motori o abitudini di pensiero, in tempo reale ed uscirne migliorati.
Nel Judo si chiama Randori o combattimento libero contro molti avversari che attaccano insieme e da direzioni diverse. E’ la naturale evoluzione dei livelli precedenti.

E’ interessante notare come un geniale maestro di arti marziali cinesi del secolo scorso, Wang Xiangzhai abbia seguito una strutturazione concettuale e una progressione didattica di questo tipo (partendo però dal secondo livello, in piedi) per sviluppare il suo stile, lo Yiquan, a partire dallo stile che praticava, lo Xingyiquan e dalle sue successive esperienze marziali.

In questa prospettiva acquista pienamente senso la frase di Jack Heggie che ha dato origine alla mia ricerca e alle mie considerazioni.
A maggior conferma di tutto ciò, recentemente ho riletto la tesi di laurea di Ruthy Alon che, a pagina 9, scrive:

‘Mi sono ricordata che Feldenkrais iniziò la sua ricerca sull’esplorazione del movimento quando praticava Judo, che forniva un superbo test per le abilità di movimento nella precisione della tecnica applicata con improvvisazione ed intraprendenza mentre ci si confronta con un partner che è imprevedibile, nella dimensione verticale ed in tempo reale. Questo mi ha incoraggiato ad osare di portare avanti un processo di scoperta interna orientato all’automiglioramento, uscendo dalle condizioni di serra proprie dello stare sdraiati sul pavimento, in una posizione eretta come accade nella vita reale, ed in una posizione dove è affidato alla persona stessa il prendersi la responsabilità per il proprio equilibrio e la propria postura. Ho dovuto creare un sostituto per l’atmosfera totalmente comoda di apprendimento del Feldenkrais, più dinamica ed impegnativa ma al tempo stesso sicura e quieta, riducendo così il livello di rumore al minimo, così da poter percepire le sottigliezze che compongono l’armonia dell’ auto-mobilizzazione’. (2)

L’esplorazione del terzo e, soprattutto, del quarto livello è appena iniziata, e toccherà alle nuove generazioni di Trainers e di ricercatori il portarla avanti. La direzione è quella evolutiva, del recupero e dello sviluppo del potenziale umano e della fioritura dei nostri talenti innati.

Ruthy Alon ha avuto il coraggio di fare un passo avanti. Adesso sta a noi seguirne l’esempio e fare i successivi. La strada è aperta, le prospettive grandiose.


 NOTE
(1) Moshe Feldenkrais, Introduction, pag. XII, in ‘Higher Judo’, North Atlantic Books, San Diego, 2010.
(2) Ruthy Alon, Movement Intelligence - Abstract, pag 9.

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